“Amarezza, indignazione e dolore genera il perpetuarsi della violenza sulle donne, così frequente proprio sulle compagne di vita”. Arriva alla vigilia delle celebrazioni per la Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne il richiamo del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano che tocca tutti i temi della violenza, da quella fisica a quella psicologica e che richiama, così come in passato aveva già fatto anche la Presidente della Camera, Laura Boldrini, ad “una rappresentazione sobria e dignitosa del corpo femminile nei media e nelle pubblicità”. Un appello  importante che aiuta però anche a capire come ancora, anche nella nostra provincia, i numeri e il fenomeno del femminicidio non si sia arrestato, come la strage delle donne non sia ancora finita. E come alla base di questi atti criminali ci sia ancora oggi, sempre più radicato, un problema culturale: la cultura del possesso, la cultura della gelosia che si traduce ancora oggi, proprio nei fatti, in quel  delitto d’onore inteso come “obbligo morale” imposto dall’intera comunità proprio perché riconosciuto e sancito come norma ma abolito dal nostro codice penale dal 1981. Finchè non cambierà la cultura, finchè non cambieranno le parole questa strage non finirà.  “L’ho uccisa perché l’amavo”, “L’ho uccisa durante un lungo abbraccio”, “L’ha uccisa perché non volevo perderla”, “Folle di gelosia strangola la moglie dopo un litigio”. Ancora oggi in nome dell’amore passionale si invoca l’assoluzione sociale attraverso i media e i titoli di giornali che  affermano che gli uomini uccidono per amore e inducono a pensare che i femminicidi non siano il frutto di una radicata cultura del possesso bensì di “raptus” di soggetti labili, vulnerabili, momentaneamente irresponsabili delle loro azioni, “malati di amore malato”. Ancora si continua a interpretare la violenza sulle donne come problema di ordine pubblico, ancora si trova difficoltà ad accettare che i femminicidi sono diversi dagli altri omicidi, ancora non si accetta che talvolta, “l’omicidio ha un sesso”. Barbara Spinelli, nota giornalista e scrittrice, precisa che il neologismo “femminicidio” ha la funzione di individuare “una responsabilità sociale” non perché le donne siano per natura deboli o buone, ma perché tuttora si trovano in una situazione di minor peso sociale, se non di discriminazione. Si è maschi e femmine per natura non per cultura. Ma è la nostra cultura che ancora non accetta il valore della diversità, che ancora sfrutta il corpo delle donne per pubblicità sessiste, che declama ma non concretizza l’uguaglianza nel lavoro e nelle professioni, che ancora tollera che si muoia perché si decide di chiudere una relazione sentimentale, o di separarsi o di frequentare altre persone. “Manca una vera reazione collettiva alla cultura assassina, agli stereotipi antichissimi legati alla virilità, all’onore, al ruolo di uomini e donne della coppia e nella società”. Occorrono modelli positivi fondati sul rispetto e sulla partecipazione delle donne nella società civile e politica, campagne di educazione e formazione che partano dalle scuole primarie, misure e azioni efficaci a prevenire gli atti di violenza, risorse idonee a finanziare politiche e interventi in grado di “garantire alle donne, in quanto donne, il godimento dei loro diritti fondamentali, primo tra tutti il diritto alla vita ed a una vita libera da qualsiasi forma di violenza”. Ed è proprio in quest’ottica che si muovono le tante iniziative presenti, anche quest’anno, sui nostri territori promosse da Istituzioni, sindacati, forze dell’ordine, rappresentanti del mondo socio-sanitario, dell’associazionismo e terzo settore. Preziosi momenti di dialogo e approfondimento sulle politiche di genere e pari opportunità, di riflessione, sensibilizzazione e contrasto agli stereotipi e al fenomeno della violenza.

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25novembre2013